20 Luglio 2001
Grida: Amore dove sei?
G.: Perugia con gli amici dell’università, festeggiamo l’ultimo esame prima delle vacanze. Hai sentito di Genova?
Grida: Si. Questi figli di puttana ne hanno già ammazzato uno.
G.: Sono affranta da questa cattiveria, ma come é possibile?
Grida: Per fortuna non siamo più andati per il tuo esame, se ti fosse successo qualcosa non so che avrei fatto.
G.: Per fortuna non lo sapremo mai.
Cosa c’entra Carlo Giuliani? Nulla. Non staro’ qui a fare voli pindarici per ristabilire un contatto da finestre aperte su wikipedia per convincervi e convincermi che di sicuro c’é un legame sebbene é evidente che ci sia. Ho pensato a Carlo Giuliani perché per mia fortuna é stata la prima volta nella mia vita, nella quale un dolore esterno a me scalfisse la mia anima fino a lasciarci una ferita. Ce ne furono di cose orribili prima ma la mia coscienza di bambina mi permise di ripristinare il sistema senza che l’anima ne fosse intaccata. Carlo Giuliani con la sua morte ha aperto un canale emotivo da me a fuori che non si é malheuresement mai chiuso.
Io non ho insegnamenti da dare a parte le cervellotiche letture quasi ossessive che faccio da sabato mattina ad oggi cercando una via per un nuovo modo di pensare, per una maniera di capire questa mia epoca e non restarmene di lato ad attendere che i bombardamenti siano compiuti, o che il prossimo 28enne armato di kalashnikov mi guardi impaurita cadere sotto i suoi colpi. Di una sola cosa ho la certezza, l’esternazione di una mutua sofferenza tramite forme mediatiche di ogni sorta non basta. Qui mi rifaccio a De André nella canzone ‘Amico Fragile’ e recupero una frase che mi ha sempre lasciato da pensare ‘troppo se mi vuoi bene piangi per essere corrisposto’.
Gli accadimenti di questi anni mi hanno pervasa di un dolore indicibile, mi hanno assottigliato l’anima e reso la vita una dura scelta da prendere quotidianamente. Eppure il mio incommensurabile amore per essa e le sue forme mi ha sempre riportata a carezzare quelle ferite nell’anima. Venerdi’ 13 Novembre 2015 lo strazio e il dramma di una tale irruzione nella ‘vita qualunque di fatti qualunqui’ mi ha definitivamente atterrita e atterrata. Sono 5 giorni che tutto sembra irrimediabilmente cambiato e poi non lo sarà. Le settimane passeranno e questa inquietudine scivolerà coi bicchieri di vino che continueremo a bere nelle terrazze dei bar. Ma questo dolore? Io non sono riuscita a piangere una lacrima tanto é stato violento il bisogno di rassicurarsi.
Camminare alle 23.00 di quel venerdi’ sulle foglie d’autunno della rive gauche, essere connessa col mondo fuori che vuole sapere se respiri e non poter sentire che il mio respiro in effetti é affannato. Calpestare la strada e guardare tutto intorno, ascoltare ogni rumore, seguire le luci della polizia, dei pompieri, delle ambulanze, osservare le camionette militari sfilare nel buio, avere intorno un caos silente e persone, poche, muoversi come dentro ad un corpo che a loro non appartiene più. Non poter sentire il battito del cuore, lo schianto dell’anima all’ascolto della mise à jour dei morti, di ora in ora sempre peggio, non poter sentire alcuna vita scorrermi dentro. Essere pragmatici, calcolatori, quella strada meglio dell’altra, evitare di essere esposti ma non chiudersi nelle strade che non hanno vie d’uscita, scappatoie, immaginare Parigi dall’alto, dove siamo, almeno siamo 5, dove dobbiamo andare, non seguire il percorso veloce, quelli sono i punti caldi, e non avere un minuto per cadere in ginocchio dalla paura, per poi rialzarsi, ma almeno una volta cadere.
Io ora pretendo quel mio minuto di lacrime. Pretendo di non dovermi preoccupare di cosa pensare, dire, agire ma sentire quello schianto di cui sopra e scivolarci dentro per almeno un minuto.
Continuerete a dire cose random ancora per una settimana su questi fatti, cedendo alla rabbia contro il simbolo degli assalitori o contro chi non piange per un cane, o contro chi (non) vuole bombardamenti, immigrati, rifugiati, ma alla fine dei conti questo sentire non vi sarà mancato perché in fondo, siamo onesti, passate accanto al mondo come davanti alla vetrina di una macelleria, ne sentite l’odore ma non riconoscete il pezzo di carne neanche col cartellino.
E permettetemi di piangere per i giovani terroristi che dell’amore han conosciuto solo una morte piena di follia e rancore, vite corrotte per una gloria evanescente e assassina. Quale abominio!
Ho visto stasera uno spettacolo teatrale che si chiama IRIS, tratto dall’omonimo incompiuto libro scritto tra il 1981 e il 1988. Una frase soprattutto mi ha colpita e diceva più o meno cosi’: Il terrorismo si insinua e trova la sua strada quando i conservatori e i rivoluzionari bloccati nella propria immobilità restano a guardarsi faccia a faccia.